La campagna
elettorale statunitense entra nel vivo. Nei giorni scorsi, infatti, Donald
Trump non si è lasciato sfuggire l'occasione di rivendicare i successi
economici registrati dall'economia nazionale, in particolar modo per quanto
concerne l'andamento dei corsi azionari. Sul fronte borsistico, infatti, i tre
principali indici – il Dow
Jones, il Nasdaq
e lo Standard &
Poor's 500 – hanno registrato una forte crescita grazie soprattutto all'acquisizione
di Fitbit ad opera di Google e alla commercializzazione dei nuovi AriPod da parte di Apple, forte peraltro di conti
trimestrali al di sopra delle aspettative e del recente lancio del proprio
servizio di streaming. Dall'inizio del 2019, le azioni della compagnia guidata
da Tim Cook sono aumentate del 60%.
Altro
capitolo su cui Trump si è soffermato è quello dell'occupazione – che pure non
offre un quadro affidabile della situazione lavorativa Usa. Nello specifico,
nel mese di novembre gli Stati Uniti hanno creato 266.000 nuovi posti di
lavoro; una quota di gran lunga superiore alle aspettative (ferme a 187.000) e
che consente al Paese di attestarsi su una media del 3,5%, la più bassa da
cinquant'anni a questa parte. Lo stesso presidente ha inoltre rilevato con
forza che in assenza delle ripercussioni prodotto da un evento straordinario
come il mega-sciopero organizzato dalla United Auto Workers, a cui hanno
partecipato centinaia di migliaia di operai della General Motors, il settore
manifatturiero avrebbe tenuto il passo e l'ammontare complessivo dei novi posti
di lavoro avrebbe sfondato la soglia delle 300.000 unità.
Al netto
della propaganda elettorale, tuttavia, l'economia statunitense non si dimostra
esente dalle tensioni internazionali causate in primo luogo dalla guerra commerciale
ingaggiata con la Repubblica Popolare Cinese, con l'Unione Europea e con tutti
gli altri principali partner commerciali degli Usa. Allo stesso tempo, la
Federal Reserve si è vista costretta ad abbassare ulteriormente i tassi di
interesse e a intensificare il proprio interventismo al fine di contrastare il
pericoloso aumento del costo del denaro sul mercato interbancario. Segno,
quest'ultimo, che qualcosa nel circuito finanziario non sta funzionando a
dovere, come certificato dall'incremento costante del volume dei buyback e dal
concomitante calo degli investimenti, diminuiti dell'1,5% da un trimestre
all'altro e sostenuti soltanto dalla settore della proprietà intellettuale.
Quelli connessi ai macchinari e alle strutture sono infatti crollati rispettivamente
del 3,8 e del 15,3%. Non a caso, le assunzioni nel comparto industriale sono
fortemente diminuite e il Manufacturing Index dell'Institute of
Supply Management (Ism), il parametro che fotografa l'andamento
dell'attività manifatturiera, si attesta ormai da diversi mesi al di sotto dei
50 punti; una soglia che evidenzia una contrazione della produzione. Proprio lo
scorso settembre, l'economia statunitense registrò un catastrofico 47,8, il
dato peggiore dallo scoppio della grande crisi. In particolare, qualcosa come
12 dei 18 settori industriali presi in esame dagli economisti dell'Ism hanno
conosciuto una frenata, a partire da quelli collegati alla metallurgia,
all'abbigliamento e al tessile. Sono quindi i servizi, conformemente al
processo di 'terziarizzazione' dell'economia che negli Stati Uniti sta ormai
conoscendo la propria fase di maturazione, a sostenere l'occupazione e a
trainare la crescita economica.
Crescita
(+1,9% su base annuale registrata nel terzo trimestre) che comunque si attesta
a livelli inferiori a quelli auspicati dall'amministrazione Trump, che, dinnanzi
all'affievolirsi dell'effetto trainante generato dalla iper-radicale riforma
fiscale da 1.500 miliardi di dollari (comprensiva di un taglio delle imposte
corporate dal 35 al 21%) entrata in vigore nel 2018, intende offrire nuovi
stimoli attraverso un nuovo taglio delle tasse da introdurre entro il 2020. Lo ha
rivelato il sempre ben informato Washington Post, secondo cui il governo, e
più specificamente il consigliere economico della Casa Bianca Larry Kudlow e il
deputato repubblicano del Texas Kevin Brady (tra gli architetti del Tax Cuts
and Jobs Act), avrebbe messo in cantiere un pacchetto di misure – ribattezzato
Tax Cuts 2.0 – rivolto soprattutto alla middle-class, che proprio grazie alla
riforma fiscale elaborata dall'amministrazione Trump ha pagato per la prima
volta nella storia degli Stati Uniti un'aliquota fiscale effettiva maggiore
rispetto alla categoria del super-ricchi. Nel dettaglio, Kudlow e Brady ipotizzano
di ridurre le tasse sui salari e di indicizzare le imposte sugli utili di
capitale all'andamento dell'inflazione, al fine di rilanciare la domanda nel
settore da cui dipende maggiormente la crescita economica degli Stati Uniti,
quello dei consumi privati, e di ingraziarsi allo stesso tempo il favore
dell'americano medio a pochi mesi di distanza dalle elezioni presidenziali. La
mossa potrebbe rivelarsi determinante nell'orientare il voto della cruciale
Rust Belt, la "cintura della ruggine" che sorge attorno al lago
Michigan disseminata di complessi industriali in disuso e che giocò un ruolo
fondamentale nello spalancare al tycoon newyorkese le porte della Casa Bianca
nel 2016.
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